Boyhood - Recensione


Mason (Ellar Coltrane) è un bambino che vive con la madre Olivia (straordinaria Patricia Arquette) e la sorella Samantha (Lorelei Linklater); il padre (Ethan Hawke) non vive più con loro, ma ogni tanto viene a far visita. La storia segue la crescita vera, sino all’età adulta, di Mason, e del mondo che lo circonda. Uno straordinario esperimento filmato attraverso 12 anni di lavorazione (dal 2002 al 2014), a conferma che Richard Linklater è uno dei maggiori e coerenti registi in circolazione. Nell’opera il passare degli anni non è mai sottolineato con didascalie o da precisi riferimenti temporali, eppure è tangibile, perché reale. “Boyhood” è indubbiamente un film, eppure le regole del cinema si fanno da parte, per far posto alla vita. Lo spazio filmico viene rapito e forgiato dal flusso temporale, in una convivenza, dai raffinati equilibri.

Psicologie e sviluppo dei personaggi sono definiti dall’incedere inesorabile del tempo, che modella corpi e anime degli attori, creando, di fatto, la funzionalità del ruolo. I mutamenti fisici dei quattro protagonisti, diventano così anche la struttura narrativa, mentre quella tradizionale si limita a cucirsi addosso qualche prevedibile snodo, sorretto da dialoghi puntuali che incorniciano l’unicum della quotidianità; non è un difetto, ma la messa in scena della feroce banalità del vivere. Non a caso, Mason adolescente è un aspirante fotografo, il mestiere che meglio cattura gli attimi dell’esistenza, quello stesso singolo attimo che è solo ora, ma la cui somma in serie, è per sempre. VOTO 8,5

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