The act of killing - Recensione


Documentario del 2013 diretto dallo statunitense Joshua Oppenheimer, con Werner Herzog in veste di produttore esecutivo. La Storia vera: Indonesia 1965. A seguito di un colpo di stato guidato dai militari, e attraverso bande armate di gangster, vengono assassinate milioni di persone con la sola accusa di essere comunisti. 2012. Gli assassini che torturarono e uccisero, non solo non sono stati condannati, ma sono delle celebrità nel loro paese: partecipano ad agghiaccianti programmi TV commemorativi, e vivono nel lusso tra pacchiane collezioni Swarovski o, come dicono loro, tra “Relax e Rolex”…. Il regista per convincerli a raccontarsi, gli fa credere che girerà un film sulle loro “leggendarie” gesta, facendogli rimettere in scena i loro omicidi, sia nel ruolo di carnefici che di vittime. Oppenheimer li mette così di fronte alle loro responsabilità, ma basterà a spingerli a un tardivo esame di coscienza?
  
Un documentario scioccante, politically un-correct, che in più punti fonde uno sconvolgente realismo con l'estetica propria del cinema, con una costruzione visiva all’altezza di alcune pietre miliari della settima arte. Sia per l'ambientazione, l'abilità di raccontare l'orrore, la possente rappresentazione della parte più buia dell'animo umano, mi ha ricordato “Apocalypse Now”. Il male come componente inscindibile dell'esistere, che con crudeltà in(umana) miete vittime, e non lascia alcuno spazio, né all’etica né alla pietà. E a chi nutre ancora dei dubbi sul valore dei documentari, posso solo dire che questo è vero grande cinema, senza se e senza ma. VOTO 8,5

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