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Visualizzazione dei post da febbraio, 2011

Another year - Recensione

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Una regia che si concentra su spazio e tempo, mettendo in scena la normalità, di persone (non personaggi) che amano, soffrono e invecchiano, mentre la vita scorre inesorabile e silenziosa. Un linguaggio in cui ritroviamo i temi cari a Leigh: la famiglia, il rapporto tra genitori e figli, senza dimenticare la naturalezza nei primi piani. Una sceneggiatura densa di dialoghi realistici e intensi, senza patetici sentimentalismi o picchi drammatici, dietro (apparenti) vuoti di racconto, che invece si dipana ricco e profondo. Eccellente l'interpretazione di tutti gli attori, dalla coppia protagonista Tom e Gerri (evidentemente autoironica), la cui casa alla periferia di Londra è un rifugio per amici sfigati, a Mary (bravissima Lesley Manville), cinquantenne, vestita da ragazza, logorroica, alcolizzata, in attesa disperata di un amore, che non arriva mai. Il film offre allo spettatore numerosi spunti di riflessione e semina, con rara ambiguità, dubbi su quale sia il segreto della felic

La donna che canta - Recensione

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L'inizio è spiazzante, due gemelli si recano da un notaio di Montreal per la lettura del testamento della madre, oltre alle strane indicazioni su come essere sepolta, la donna lascia due buste che costringeranno i fratelli, in un doloroso viaggio, dentro e fuori, la storia e la memoria, individuale e collettiva. Racconto diviso in capitoli, che si snoda attraverso un montaggio con frequenti salti spazio-temporali, ricomponendo così i pezzi di un’esistenza segnata da violenze, orrori e segreti inconfessabili. Il regista Denis Villeneuve, con sguardo lucido e fermo, senza enfasi e facili pietismi, trascina lo spettatore in un crescendo emotivo che lascia senza fiato, e colpisce per intensità, testa e cuore. Interpretato da attori intensi ed espressivi, sui quali spicca la magnifica protagonista Lubna Azabal. Incalzante come un thriller, sorprendente come un giallo, ma soprattutto ottimo cinema d'autore: assolutamente da non perdere. VOTO 7/8

Il discorso del re - Recensione

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Ottimamente prodotto, con soli 15 milioni di dollari, eppur ricco, sotto molti punti di vista: dal comparto tecnico, perfetto e mai banale, ad una sceneggiatura brillante, attenta nel dosare garbata ironia british e impeccabile malinconia. Un cast artistico in gran forma: Colin Firth, che senza manierismi, trasmette, con elegante intensità, tutta l’insicurezza del personaggio, creando una forte empatia che spesso emoziona, un Geoffrey Rush che con grande istrionismo interpreta un “informale” logopedista australiano, e una (finalmente) misurata Helena Bonham Carter. Il regista Tom Hooper con sapiente perizia cesella luoghi e personaggi valorizzandone la storia, e facendo di necessità (visto il basso budget) virtù, con ampio uso di primi piani, grandangoli e, cosa inusuale per un film storico, la camera a mano, che gioca sinuosa coi contrasti degli ambienti, tra l’umido lanscape londinese e gli interni sobri, ma (non a caso) angusti. Una solida macchina da Oscar, a cui però, manca l’o